ARTICOLO di Luca Tieppo, Manager Culturale Esperto in Ecosostenibilità
Ho la tessera dei Verdi, mi occupo di ecosostenibilità e di programmazione culturale e, scorrendo la mia vita, potrei definirmi un problem solver. Quando mi sono coinvolto con AVS nella stesura del Programma per le scorse Provinciali trentine, ho chiesto espressamente che mi fosse affidata la parte riguardante gli orsi e i grandi carnivori: era una patata bollente che necessitava risposte e non voleva nessuno.
A parte la mia preparazione personale, avevo per mesi approfondito l’argomento, studiato casistiche, statistiche, normative, le differenze culturali e sociali fra nazioni diverse, oltre al Life Ursus, il Pacobace e tutto quanto riguardasse la realtà trentina. Mi ero scontrato pesantemente sui social per cercare di comprendere i meccanismi e le ragioni dell’altra parte, di chi voleva eradicare il problema, cancellare la presenza dei plantigradi, mettere rewind alla realtà e alla morte di Andrea Papi. Una cosa mi era chiarissima: io lavoravo per gli orsi, e il loro diritto di vivere in armonia nel nostro territorio doveva partire dal rispetto per le esigenze di tutti.
Nel confronto sui social era apparso chiaro come la maggiore criticità non fosse tanto la presenza dell’orso nei boschi, quanto la totale mancanza di un qualche sistema di prevenzione e allerta, il che stava creando un’inevitabile apprensione che poi ognuno traduceva in approcci diversi: dal parlare forte, al campanello attaccato allo zaino, passando per lo spray, su su fino a giungere ai picchi specisti e folli della deportazione di massa e della mattanza. Ogni spiegazione dell’assurdità e infattibilità di certe proposte si dimostrava inutile, proprio perché non c’erano sul tavolo alternative diverse dal rafforzare e concretizzare solo quelle già in essere.
Quindi, disinnescare l’ansia di un incontro inaspettato e la preoccupazione per la propria sicurezza (sia personale che dei propri beni) è diventata a mio avviso la chiave per tutelare sia noi sia gli orsi e il loro sacrosanto diritto di vivere sul nostro pianeta, in attesa che si sviluppi e diffonda in maniera più ampia una cultura meno specista.
Il Progetto Amarena
La nostra fortuna è vivere in un momento storico in cui l’innovazione riveste un ruolo essenziale; dopo aver analizzato l’intero quadro, infatti, mi è stato chiaro che non si può fare reale prevenzione e dare una risposta concreta alla psicosi di un intero territorio se non conoscendo il posizionamento di ogni singolo orso adulto. L’unica strategia possibile diventa, quindi, evolvere il concetto del radiocollare che, grazie alle nuove tecnologie, si potrebbe portare a una dimensione di chip sottocutaneo più o meno come quelli usati per i nostri pet. Un microchip o dispositivo IoT, da innestare o anche applicare esternamente nei modi più consoni e meno invasivi possibile, che sfrutti l’innovazione della Zero-Power Tag di Oppo – la nuova tecnologia presentata in anteprima e premiata come una delle migliori invenzioni presenti al MWC 2023 di Barcellona – che per funzionare usa l’energia ambientale data dai segnali Bluetooth, WiFi e del telefono cellulare anziché le tradizionali batterie (si veda fig. 1).
Una tecnologia rivoluzionaria questa, per quanto riguarda il tracciamento e la gestione faunistica, almeno in quelle aree fortemente antropizzate e con una capillare rete di telefonia mobile come il Trentino; infatti permette di bypassare completamente il tradizionale e invasivo radiocollare (le cui dimensioni sono necessarie per ospitare le batterie), ha un costo ridicolo e una volta innestata non richiede alcuna manutenzione.
La cosa essenziale però è che i dispositivi IoT non si appoggiano più a ponti radio o satelliti come i vecchi radiocollari, ma dialogano con i nostri cellulari, rendendo anche fattibile un sistema d’allerta e la registrazione della nostra presenza direttamente sui nostri device, tutelando quindi l’orso il cui segnale resta criptato e a disposizione solo dell’ente preposto al monitoraggio. L’animale potrebbe fare tranquillamente la sua vita in piena libertà, mentre il sistema si attiverebbe in automatico solo in presenza di cellulari o in aree definite intorno agli agglomerati urbani o alle nostre attività, cioè quelle più a rischio. Essendo nota la posizione dell’individuo solo all’ente preposto, sarebbe lo stesso ente a definire le eventuali misure di dissuasione da prendere in caso di criticità, allertando le unità locali.
Noi Sapiens dal punto di vista pratico, dovremmo semplicemente scaricare una App gratuita e goderci i boschi e la bellezza delle montagne trentine sapendo che, entrando nel raggio di protezione di un orso, riceveremmo in automatico un avviso come quelli della protezione civile con l’invito ad allontanarci e che la nostra presenza è stata registrata. I soliti furbetti curiosi al secondo avviso riceverebbero direttamente una telefonata dall’ente preposto invitandoli a rivolgersi al personale specializzato qualora volessero vedere gli orsi in sicurezza.
Per quanto riguarda questioni di privacy, giuridiche o quant’altro, le moderne tecnologie e l’impostazione predefinita della App permetterebbero una totale crittografia dei dati, e il sistema potrebbe essere in gran parte automatizzato impiegando l’uomo solo nei casi più delicati.
Benefici ulteriori
Questa tecnologia risponderebbe anche ad un’altra grave criticità: avendo la possibilità di monitorare in maniera capillare la diffusione dei plantigradi (parliamo al momento di un centinaio di individui adulti o poco più), decadrebbero in gran parte le preoccupazioni delle altre province, regioni e stati che all’epoca avevano sottoscritto il Life Ursus e che ora hanno posto il proprio veto; inoltre, proponendo un sistema concreto di allerta per le comunità locali, diventerebbero fattibili i corridoi faunistici per favorire la dispersione specialmente delle femmine, bloccate come sono dall’urbanizzazione della Val d’Adige e delle valli intorno al gruppo del Brenta. La dispersione e l’incrocio con altre popolazioni ursine arricchirebbe infine il pool genetico di quella trentina che discende tutta da due soli maschi, gli unici che si sono riprodotti dell’originale nucleo sloveno di dieci individui, ed eviterebbe tare ereditarie pericolose, frutto di incroci fra consanguinei.
Il poter testare inoltre un sistema altamente innovativo, ed esportabile a tante altre realtà e criticità diverse a livello globale, darebbe al Trentino e al nostro Paese una leadership importante e un ritorno anche economico tangibile per le comunità di valle e i territori coinvolti.
La politica trentina
Vista la mancanza di proposte alternative, mi sarei aspettato maggiore entusiasmo e accoglimento di un Progetto così delineato perché nessuno in ambito naturalistico o politico era al corrente della tecnologia Zero-Power Tag che, per inciso, anche altri giganti dell’elettronica oltre a Oppo stanno elaborando, perché si possa in un futuro molto prossimo ridurre o eliminare l’uso delle batterie per i piccoli device con grande sollievo per l’ambiente; similmente non c’era consapevolezza nemmeno delle enormi implicazioni di questa tecnologia. Ritenevo quindi che la capacità di mediazione del Progetto stesso fosse politicamente un valore aggiunto importante come proposta concreta e non ideologica; i territori hanno un bisogno disperato di risposte e l’unica soluzione attualmente possibile che permetta una serena convivenza tra uomo e orso è l’innovazione. Al contrario, la carta bollata e le imposizioni dall’alto portano solo al bracconaggio e all’annientamento della popolazione ursina trentina; ne è un esempio l’ultimo orso rinvenuto recentemente in un frutteto, l’ennesimo… siamo a quota 64 in 23 anni.
Mi sono accorto invece come, mio malgrado, i distinguo da parte dei vari interlocutori non fossero sul Progetto Amarena in sé ma su aspetti marginali. Il mondo politico, come sempre, è più interessato ai voti che alla risoluzione dei problemi, dal momento che la questione è estremamente divisiva e trasversale, e la componente ideologica qui gioca un ruolo determinate. L’orso però non può diventare il capro espiatorio per uno scontro politico fra ideologie, dove il confronto aspro fra proposte egualmente irrealizzabili fa dimenticare completamente le ragioni della lotta. Non si può tralasciare il fatto che, per gli orsi e la loro sopravvivenza almeno, il Trentino è un territorio fortemente antropizzato: infatti, praticamente da un secolo non conosce più la presenza di grandi carnivori sul proprio territorio. Quindi per una bella fetta di popolazione, l’orso – ovviamente a torto ma non è questo il punto – risulta un inquilino moroso imposto ed estraneo alla propria cultura. A questo bisogna aggiungere che il Trentino è regione autonoma e mal gradisce intromissioni esterne che ne sottolineano le inefficienze e minano nel profondo il concetto stesso di autonomia.
La situazione in altri Paesi
Essendo i plantigradi percepiti come una presenza esterna problematica e non come un elemento caratterizzante la Provincia, l’unica del Nord Italia in cui sono presenti in maniera stanziale, anche l’approccio politico e scientifico è diverso rispetto ad altri Paesi. Il Canada, ad esempio, ha appena testato un nuovo radiocollare specifico per gli orsi bianchi che in estate si spingono all’interno alla ricerca di cibo; è un tracker che si attacca alla pelliccia solo per il periodo estivo, per monitorare gli animali e tutelare le migliaia di turisti che vengono ad ammirare l’unica specie d’orso che realmente considera l’uomo una preda. Tuttavia, per il Nord del Canada la presenza degli orsi bianchi è elemento culturale di valore che porta anche indotto. Come in Romania, casa di migliaia di orsi, dove esiste già una versione molto basilare del Progetto Amarena basata sugli avvistamenti e sui radiocollari: nel caso di presenza in zone a rischio parte un sms di allerta. Anche qui l’orso fa parte della cultura locale e crea economia. Stesso dicasi di Slovenia e Croazia dove l’orso è presenza tradizionale e motivo d’orgoglio locale tanto che esiste un centro, il Dina Pivka, dove si “sviluppano piani comuni affinché orsi e lupi possano diventare risorse per la comunità “. Anche qui l’orso porta indotto, a tal punto che il Bear Watching, molto ben gestito anche a livello governativo, è una importante fonte di reddito: per 2/3 ore di esperienza il costo a persona è di 199€.
Le differenze sono evidenti: l’orso rappresenta l’anima, l’emblema di quei territori, motivo d’orgoglio ma anche di lavoro per quelle comunità, e anche le scelte politiche e del mondo scientifico rispecchiano questa situazione. Potremmo discutere a lungo di approcci scientifici diversi, se sia lecito o meno attirare gli orsi con foraggiamenti per poterli ammirare in piena sicurezza, ma sono disquisizioni concettuali di noi sapiens. Per gli orsi vivere in Slovenia, Canada, Romania è probabilmente più semplice e gratificante che vivere in un posto dove sono considerati pericolosi e non graditi, dove un boccone goloso, un incontro fortuito o la semplice curiosità potrebbero significare la morte, e dove la politica locale fa solo da megafono ad una visione culturale specista sempre più diffusa.
Se vogliamo invertire la percezione e costruire in breve tempo una coscienza collettiva che trasformi l’orso da problema sociale ad emblema di un territorio, dobbiamo investire in innovazione e smetterla di voler imporre una convivenza. D’altra parte, non possiamo neppure liquidare la tecnologia della Oppo, o un qualsiasi approccio tecnologico che farebbe del Trentino un laboratorio di innovazione nel rapporto attività umane/territorio, con il solito motto “è il futuro ma la tecnologia è ancora acerba” (sicuramente, visto che non è mai stata testata sugli animali).
L’impressione quindi che il problema, anche nel mondo scientifico, sia molto più ampio degli aspetti contingenti, mi è parso evidente. Purtroppo ho riscontrato lo stesso atteggiamento anche in certi circoli ambientalisti, soprattutto quando si parla di problema “etico” relativamente al censimento di tutti gli orsi adulti come unico sistema per creare reale prevenzione.
Eppure non si percepisce questo stesso problema etico di fronte ai microchip per i nostri pet, il che mi fa pensare che anche noi ambientalisti spesso facciamo dei distinguo di principio, “da sapiens”. Certo, i microchip non servono all’animale ma sono lo strumento meno invasivo per rispondere alle nostre necessità sociali e tutelare l’animale stesso. Il medesimo discorso, senza entrare in controversie etiche – quelle sì – sugli allevamenti, vale per le marche auricolari degli animali da pascolo.
In conclusione, sono fermamente convinto che proprio per la sua tutela, un sistema di tracciamento di un animale libero ma che vive in perenne e stretto contatto con le nostre attività sia non solo necessario ma fondamentale. Saremmo noi sapiens ad adattarci alle sue abitudini, intervenendo solo quando l’interazione fra le due specie potrebbe diventare problematica. D’altronde non mi pare intelligente affidare la sopravvivenza dell’orso all’orso stesso e alla spada di Damocle che possa accadere nuovamente un incontro mortale…
Ritengo quindi che si debba cominciare a pensare da orsi e non da sapiens, nella convinzione che è decisamente meglio un orso monitorato vivo che dieci “liberi” morti.
Insomma, non possiamo imporre la nostra visione del mondo a chi ha paura persino di un cagnolino al guinzaglio o che un’ape gli possa finire in bocca mentre beve alla fontanella. Gli orsi trentini tutto questo tempo per un tale cambiamento culturale (che potrebbe anche non verificarsi mai) non ce l’hanno davvero: vogliono solo vivere in pace. Se potessimo scongiurare almeno in parte il rischio di un incontro fortuito con la nostra specie, non gli dispiacerebbe, nella speranza che la loro maestà possa fare il miracolo di una convivenza finalmente pacifica sulle nostre montagne.