L’accusa: “Animalisti pagati 40 euro l’ora per manifestare”
Il Presidente Caporale: “Non siamo venduti al Dio denaro, il nostro unico motore sono i diritti degli animali. Ci dispiace per chi conosce soltanto il valore della moneta”
Roma 14 Dicembre – L’accusa è che gli animalisti siano dei ‘legionari’ prezzolati disposti a manifestare per 40 euro l’ora. La risposta è una querela. Walter Caporale, Presidente di Animalisti Italiani Onlus – www.animalisti.it – querela per diffamazione la donna, dal cui profilo facebook si evince chiaramente essere coniugata con il titolare del Circo Rony Roller, la quale a partire dal 25 aprile 2015 ha diffuso attraverso la sua bacheca social un post ingiurioso con una foto di un volantino arrecante la scritta: “I manifestanti guadagnano 40 euro all’ora, ledendo il vostro sacro santo diritto di rilassarvi in famiglia dopo una settimana lavorativa, godendo di uno spettacolo circense”.
Ebbene, forse la signora non è consapevole che il denaro non può comprare tutto e che ci siano ancora persone che credono nel contagio delle idee e nella forza del cambiamento. “L’affermazione fatta da questa donna – commenta Walter Caporale – lede la passione e la dignità dei nostri volontari e di tutti gli animalisti in generale che utilizzano il loro tempo per difendere gli animali dal maltrattamento, il tutto senza alcun tipo di ricavo economico se non la soddisfazione morale dei risultati conseguiti”.
Animalisti Italiani Onlus intende andare in fondo alla vicenda e il Presidente Caporale ha affidato il mandato all’Avvocato Stefano Caroti, il quale ha subito commentato: “Confidiamo nelle autorità giudiziarie affinché trovino una giusta e celere soluzione al caso in questione”.
Nella querela si legge: “L’inserimento di “un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione” (Cass. n. 24431/15). Proprio in ragione del fatto che i commenti che compaiono su tali social network hanno una diffusione capillare e potenzialmente illimitata, la Suprema Corte ha ritenuto che le offese espresse in tal modo debbano ritenersi aggravate, come se commesse a mezzo stampa.
Giova ribadire che i reati di ingiuria e diffamazione possono essere commessi a mezzo di internet (Cass. n. 4741/00; Cass. n.44126/11) e che quando ciò si verifica si è in presenza di un’ipotesi aggravata della fattispecie base (Cass. n. 44980/12).
Quando poi l’offesa avvenga mediante i cosiddetti social network – ovvero, come nel caso di specie, su una bacheca Facebook – secondo la Corte di legittimità non vi è ragione per approdare a conclusioni diverse e non solo perché in questo caso vi è l’applicazione di risorse informatiche”.
E occorre anche ribadire che la comunicazione è circolare, che una volta lanciato un messaggio – in special modo sul web -, occorre assumersene la responsabilità perchè una volta inserito su pubblica piazza non può più essere ritirato. Lo dimostra il fatto che quella frase ingiuriosa risale al 25 Aprile ma che è arrivata sotto agli occhi e alle orecchie di Animalisti Italiani il 10 dicembre. Questo significa che, come un messaggio lanciato attraverso una bottiglia in mezzo al mare, il post ingiurioso della signora ha fatto il giro delle bacheche facebook, navigando nel mare di internet e finendo, sfortunatamente per lei, ‘tra le mani’ di simpatizzanti animalisti che non hanno esitato ad avvertire l’Associazione.
“E’ comprensibile dunque che una persona che utilizzi gli animali a scopro di lucro, incurante di tutte le sofferenze arrecate loro per costringerli a realizzare frivoli spettacoli totalmente distanti dalla loro natura, – sottolinea Caporale – non riesca a immaginare che delle persone possano essere mosse nei loro atti e nelle loro scelte esclusivamente da motivazioni etiche ed ideologiche. Ma CI DISPIACE e, al tempo stesso, CI PIACE rimarcarlo: Animalisti Italiani Onlus non ha mai pagato nessuno per esprimere in svariati contesti la propria opinione in nome di quella libertà di pensiero per la quale i più illuminatri tra gli uomini hanno sempre combattuto e di cui, la vicenda in questione purtroppo lo dimostra, alcuni non sanno cosa farsene”.
Prosegue così la querela: “Il ribadire ancora una volta come nei miei confronti sia stata perpetratauna chiara diffamazione aggravata data la potenzialità, l’idoneità e la capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato. Infatti, la circostanza che si sia raggiunta una pluralità di persone ha cagionato un maggiore e più diffuso danno alla mia persona, e della Associazione Animalisti Italiani Onlus. D’altra parte se lo strumento principe della fattispecie criminosa in esame è quello della stampa, al quale il codificatore ha giustapposto “qualsiasi altro mezzo di pubblicità“, giacché anche in questo caso, per definizione, si determina una diffusione dell’offesa ed in tale tipologia, quella appunto del mezzo di pubblicità, è evidente allora come la diffusione perpetrata attraverso la pubblicazione sulle due pagine Facebook abbia permesso di raggiungere un numero indeterminato di persone (sia perché, per comune esperienza, le bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita)”.
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