Si avvicina un momento decisivo per una delle battaglie in difesa della fauna selvatica più importanti degli ultimi anni. Domani, 14 maggio 2025, il TAR Abruzzo si riunirà per discutere nel merito il ricorso contro la delibera regionale n. 509 dell’8 agosto 2024, che ha autorizzato l’uccisione di 469 cervi, tra cui 142 cuccioli con meno di un anno, nella sola stagione venatoria 2024/2025.
Una scelta duramente contestata dalle associazioni animaliste e ambientaliste, tra cui anche noi Animalisti Italiani, che fin da subito abbiamo denunciato l’assurdità e l’illegittimità del piano, nato da un censimento manipolato e pilotato da chi ha interesse diretto a uccidere: i cacciatori. A oggi, la caccia ai cervi è sospesa, grazie all’intervento del Consiglio di Stato, che ha annullato temporaneamente la delibera, rinviando la decisione finale al TAR.
«Non possiamo permettere che la natura venga trasformata in un campo di tiro da chi ha tutto da guadagnare nel vedere aumentare il numero delle vittime. Chi ha contato i cervi è lo stesso che spara: un abisso di conflitto d’interessi. È una strage mascherata da gestione faunistica.», afferma Walter Caporale, presidente dell’Associazione Animalisti Italiani.
«Il TAR ha ora la possibilità di dare un segnale forte per la tutela della biodiversità e della giustizia ambientale. I cervi non hanno voce, ma noi non ci fermeremo finché ogni fucile non sarà messo a tacere.»
La mobilitazione in difesa dei cervi è stata imponente: oltre 136.000 cittadini hanno firmato la petizione online “Fermiamo la strage dei cervi in Abruzzo”, 60.000 persone hanno scritto direttamente al presidente regionale Marco Marsilio, migliaia hanno partecipato insieme a noi Animalisti Italiani e ad altre associazioni a sit-in, manifestazioni e campagne social, e numerosi esponenti del mondo scientifico, culturale e istituzionale hanno sostenuto l’appello per la revoca del provvedimento.
La delibera si fondava su dati gonfiati provenienti da un monitoraggio effettuato dagli stessi Ambiti Territoriali di Caccia, che hanno tutto l’interesse ad aumentare il numero degli animali dichiarati, così da ottenere più “prelievi autorizzati”. Eppure, la stessa società incaricata della proposta gestionale ha ammesso che solo i dati raccolti tra il 2022 e il 2024 possono essere considerati attendibili – anni in cui la popolazione dei cervi è rimasta stabile o in lieve calo, anche in assenza di caccia.
Inoltre, i danni attribuiti ai cervi – uno degli argomenti usati per giustificare il massacro – sono stati modesti: poco più di 25.000 euro in un anno, a fronte di 16,7 milioni di fondi stanziati nel bilancio regionale per altri indennizzi agricoli.
Cronologia della vicenda:
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Ricorso al TAR: Le associazioni hanno impugnato la delibera n. 509, denunciando numerose irregolarità procedurali e scientifiche.
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Richiesta di sospensiva: Inizialmente respinta dal TAR, ma successivamente accolta dal Consiglio di Stato.
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Stop alla caccia: Il Consiglio di Stato ha bloccato il provvedimento, sospendendo ogni attività venatoria sui cervi fino all’udienza del 14 maggio.
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Udienza di merito: Domani il TAR deciderà se confermare lo stop e annullare definitivamente la delibera o se riaprire le porte alla strage.
Perché la vita non si baratta. E i boschi non devono diventare poligoni di tiro.
Il piano di “prelievo”, in vigore dal 14 ottobre scorso, ha già insanguinato i boschi d’Abruzzo, mettendo nel mirino cervi adulti, mamme e piccoli. Una strage resa ancora più atroce dal fatto che esistono cacciatori disposti a pagare pur di portare a casa il corpo degli animali trucidati, trasformando l’orrore in merce.
La delibera regionale si basa su un censimento degli animali gonfiato e poco attendibile, come sottolinea persino la relazione della società incaricata di redigere la proposta di gestione del cervo. Viene infatti specificato che solo i dati raccolti nel periodo 2022-2024 possono essere considerati attendibili, e che la popolazione di cervi in quegli anni è rimasta pressoché stabile, con un calo nel 2023 nonostante l’assenza della caccia.
Quanto ai presunti “danni” arrecati dalla fauna selvatica, i numeri parlano chiaro: appena 25.940 euro di indennizzi riconosciuti per i danni da cervo nell’arco di un anno. Una cifra irrisoria se paragonata ai 16,7 milioni di euro stanziati nel bilancio regionale per 2.300 beneficiari.
«Stiamo parlando di una carneficina mascherata da gestione faunistica. È tempo che le istituzioni ascoltino la voce della cittadinanza e della scienza, non quella delle doppiette. Fermiamo insieme la strage!», conclude Caporale.